L’immaginario d’emergenza
Come si progetta in uno stato di emergenza come quello che stiamo vivendo? Che percezione hanno i nostri recettori mnemonici di questa condizione e come si comporta il mio mondo che procede per immagini?
Molto del mio modo di procedere oggi è legato a situazioni superate in modo complicato in eventi stressanti: moltissimo dalla disciplina autoimposta della corsa in montagna (trail running) disciplina che mi ha permesso di intraprendere un modo di percepire la resistenza assieme alla comprensione delle forme del paesaggio.

Murakami lo descrive bene, a differenza del camminare che pure pratico con costante assiduità, la corsa in montagna è meno contemplativa e più reattiva, la camminata invece permette di affiancare, al procedere, i pensieri al paesaggio, mescolando pensieri a forme e luoghi della montagna o della collina, in un andare e venire.
E quindi come si incardina la resilienza con il progetto?
In questo necessario isolamento, che non è quello autoimposto da Walden in “Vita nei boschi” le cose sembrano probabilmente fluire in modo differente. Il mio tempo non è lineare – non seguo la tv – ma nemmeno rituale o ciclico – non sono metodico e disciplinato.
Il mio tempo è come un meandro. Compie lo stesso spazio del fiume per andare al mare ma, come diceva Le Corbusier, impegnando più tempo raccoglie più informazioni, fa più strada e quindi la sua acqua è più ricca perché meno frettolosa.
Nel meandro l’acqua scorre più lenta ma non si ferma, non essendo uno stagno e nemmeno un fiume, ma scorre, lentamente scorre. Raccoglie e indaga, accorda disunisce come direbbe Montale ne “I limoni”.

Oggi sembriamo smarriti dentro una nuova dimensione dello spazio e del limite. Invece per incanto riprende vigore in maniera diversa, utile ed esplorativa il disegno. Non quello sistematico e definitivo in forma di diagramma caro a molti oggi.
Nemmeno quello poetico che interroga la vita di lusitana memoria, nemmeno quello da me praticato in forma assolutamente autonoma qualche anno fa in cui la limitazione per cause di forza maggiore mi permise di confrontarmi con il disegno a matita.
Oggi ne emerge uno nuovo in cui l’esplorazione del tema diventa meno rituale (racconta una necessità) meno pervasiva (rendere) meno esplicativa (digramma) ma semplicemente evocativa.
Il mondo delle immagini diventa quello delle suggestioni, comprensibile a molti, metonimico, per-suasivo e concettuale quanto serve, evocativo per definizione perché legato alla forma diretta fra l’atto e la visione.
Non schizzi, che sono geroglifici mal dimensionati autoreferenziali, ma forme di rappresentazione che possono forse occupare un nuovo spazio della visione che permette di coniugare il presente per tutti gli operatori coinvolti.
Una nuova dimensione che permette di dare una visione sintetica ed evocativa ad un mondo necessariamente personale, ma che uscito dal suo compiacimento egocentrico e autoreferenziale diventa modo e mezzo in cui le finalità e gli scopi possono coniugarsi e riconoscersi e fondersi in comunità.

Carlo Alberto Cegan, veloce e rumoroso, se passa te ne accorgi ma è difficile stargli dietro. Approccia a nuovi metodi, ricerca tecnologie, concepisce progetti con la rapidità con cui affronta le sue giornate.