Il suono della periferia
Ricordo quando da ragazzo vivevo in una labile periferia di case e strade bianche, dove città e campagna si sovrapponevano in maniera disordinata tentando di costruire un improbabile avamposto urbano. Volevamo tutti essere Ernesto Nemecsek come ne I ragazzi della via Pall, eravamo tutti studenti distratti in un territorio da conoscere e conquistare.
Osservo il gruppo di palazzi che circonda il mio e il quartiere in cui vivo, tutto è sigillato, compiuto, costruito e codificato: quelle pratiche di scoperta e conquista si scontrano con i luoghi, non ci sono giardini nascosti da colonizzare e nemneno terreni incolti da esplorare. Tutto è dato, pulito e sterilizzato.
L’autobus scandisce il mio tempo e infrange il silenzio della quarantena, a distanza regolare e dilatata, rispetto ai giorni ordinari. L’orario dei mezzi è quello della domenica. Sento qualcuno intagliare il legno, i ragazzi del balcone di fronte improvvisare bricolage. Si sono trasferiti in città per cercare lavoro, poco prima della pandemia, e ora in attesa costruiscono mobili per la loro casa.

Vedo i fiori disposti in modo istericamente ordinato, con graticci e piante ancorate debolmente alle ringhiere, non vedo mai gli interni ma percepisco e rammendo con il filo della mia memoria la vita della periferia. La ricordo sospesa, come questo tempo, e densa di potenzialità espresse nel fai-da-te, quando il lavoro coesisteva con l’abitazione, dove si immagazzinava di tutto e si produceva di tutto.
Conosco bene quelle sonorità e, se fossi il cercatore di suoni di Wim Wenders in Lisbon Story, saprei dove trovarli: lui che ferma il microfono della presa diretta sul bordo del mare o fra la rigida città di fondazione Pombalina, e il Barrio tortuoso che accompagna la città antica.
Le relazioni e le melodie sono intimamente legati fra loro, sono amici che finalmente ritornano: non è la Vucciria e nemmeno Spaccanapoli, non è sciabordio del lungomare ligure né i silenzi dei boschi alpini, ma sono quelli del ghiaino dei vialetti del rosario, delle frasche, della falegnameria che invade i silenzi, o il martello dello scalpellino che squarcia il sole di luglio e agosto.
Un lungo lavoro pubblicato online ha permesso di registrare i suoni del mondo, tutti quelli che si sentono e percepiscono in diversi ambiti geografici, nelle metropolitane, nel silenzio del deserto del Kalahari o nell’apparente frastuono della foresta fluviale. Nel silenzio dell’Antartide rotto dal pack o dal vento intenso o dai versi degli animali feroci.

Wenders chiarisce sempre le cose con Atto di vedere, spiega le intime relazioni di ciò che percepiamo e di come la nostra immaginazione viene e educata allo sguardo attento e consapevole. Oggi si potrebbe scrivere un Atto di sentire, potremmo cristallizzare il senso in un’azione, ascoltare, la città nelle sue nuova dimensione liberata dal quotidiano, riattivare un senso atrofizzato dalla vita frettolosa.
Tra i banali condomini accanto a me i suoni si dilatano a dismisura e diventano irreali, i volumi non possono raccontare nulla, ma possono custodire le persone e le loro cose, avrei il desiderio di togliere la facciata, come nelle case delle bambole, per vedere finalmente dentro l’anima del mondo recluso dal coronavirus.
La musica si spinge oltre, e nei Capolavori di Beethoven, scopriamo che egli racchiuse la potenza della musica dalla costrizione del silenzio, le note erano dentro nell’anima.n
non erano l’ardore dei ventenni
non erano il messaggio del divino
ma i primi doni della sordità
Nel secolo che ci ha costretto all’immagine, saremo forse in grado di restituire senso all’ascoltare ed entrare nel Sacro Bosco, in cui i sensi diventeranno capaci di restituire pienezza al nostro passaggio sulla terra. Saremo forse capaci di riappropriarci del silenzio pieno di promesse e potremo dopo la primavera sospesa ritornare ad essere attori e non spettatori, di ritornare al senso delle cose anche dal lato del sentire come atto finalmente liberato della sua parte meccanica e ascoltare il suono che giunge da una dimensione insospettabile?

Carlo Alberto Cegan, veloce e rumoroso, se passa te ne accorgi ma è difficile stargli dietro. Approccia a nuovi metodi, ricerca tecnologie, concepisce progetti con la rapidità con cui affronta le sue giornate.
Si occupa di progettazione architettonica, ricerca e sviluppo di opportunità.